L'Homo Appenninicus
[Un profilo semi serio...] Chi è l'homo appenninicus?
All'inizio, troviamo l'homo appenninicus a cimentarsi con escursioni che
si sviluppano su terreno quasi completamente pianeggiante, o costeggiano
o intersecano strade asfaltate o sterrate, talvolta puntando dirette ed
oneste a trattorie e locande; ma presto gli si schiudono innanzi le infinite
possibilità e ricchezze del mondo appenninico, ed eccolo anche per
prati, boschi, pendii poco scoscesi, crinali.
Nato generalmente in pianura o in riva al mare, più raramente
in collina, l'homo appenninicus non ha infatti naturale confidenza con l'ambiente
montano, entrando in contatto con la montagna solo nel corso
della sua esistenza adulta, e spesso per caso.
Scopre che gli è congegnale e vicina, per indole e spesso anche geograficamente,
la montagna appenninica: erbosa, boscosa, arrotondata, che si raggiunge
senza troppa fatica, senza mai vedere precipizi e con scarse possibilità
di perdere la strada.
Anche se la sua è una forma di escursionismo ad uno stadio ancora
embrionale, l'homo appenninicus comincia però ad assaporare quelle
stesse gioie che sono alla base della passione del suo più illustre
e temerario collega, l'alpinista.
Da un lato, la soddisfazione per la conquista di una vetta, seppur modesta;
di un panettoncino arrotondato e completamente erboso, di una punta così
poco marcata e significativa da non distinguersi facilmente dal resto del
crinale; dall'altro la gioia di "elevarsi" e godere di una pur
piccola vista, su spicchietti di pianura, una valletta, o su un laghetto
altrimenti nascosto.
Suo malgrado, verso le Alpi!
Così passano le stagioni, finchè un bel momento, sospinto
dalla calura estiva, e - perché no - anche da una moderata curiosità,
l'homo appenninicus abbandona il suo habitat naturale per volgersi all'ambiente
alpino.
Preferendo da sempre sterrati e comode mulattiere, sentieri in mezzo
al bosco, moderati pendii erbosi, ed il colore verde di prati e alberi al
marrone e grigio delle rocce e al bianco della neve (e del ghiaccio), il
severo ambiente alpino coi suoi grandiosi scenari gli incute un giustificato
e naturale timore.
Il suo problema principale diviene allora la scelta di escursioni adatte
alla sua indole, più amante delle rotondità montuose e dei
dolci declivi semi collinari, e viceversa aborrente gli aguzzi e precipitosi
profili alpini.
Punti di riferimento obbligati per la scelta delle sue escursioni sono in
primo luogo le cartine.
L'homo appenninicus evita accuratamente quegli itinerari e sentieri che
le cartine convenzionalmente segnano:
1) con crocette rosse. Si tratta di ferrate, ovvero sentieri attrezzati
con scalette in ferro e altre diavolerie, che implicano l'uso di attrezzature
per l'assicurazione e autoassicurazione, quali imbraghi, moschettoni e caschetti.
2) con puntini rossi (vedi foto 2). Sono sentieri "in parte difficili",
ma senza che sia dato sapere in anticipo precisamente perchè difficili:
a volte presentano problemi di orientamento, svolgendosi su terreno infido
e scosceso; generalmente itinerari segnalati, implicano però una
capacità di muoversi agevolmente su terreni anche insidiosi, su pietraie,
o nevaietti, o su pendii aperti e privi di punti di riferimento; a volte
ci sono invece tratti rocciosi con lievi difficoltà tecniche; in
altri casi è richiesto passo sicuro e assenza di vertigini. Oltre
che, ma questo sempre, equipaggiamento, attrezzatura e preparazione fisica
adeguata.
Se i sentieri "crocettati" e "puntinati" sono certamente
da scartare, non è detto comunque che gli altri sentieri, quelli
segnalati con una linea continua rossa o - più spesso - con linea
tratteggiata rossa, siano di per sé adatti all'indole appenninica.
Le cartine da sole non sono quindi sufficienti, e l'homo appenninicus è
costretto a ricorrere a libri e guide per trovare consiglio ed ispirazione
per nuove avventure; talvolta anche l'esperienza diretta ed il racconto
di altri escursionisti si rivelano preziosi.
Ma come essere certi che siano, queste fonti, veramente affidabili? Che
vadano bene anche per l'homo appenninicus? Ecco una possibile risposta:
imparare a leggere al di là delle parole..
Le subdole descrizioni degli itinerari non ingannano l'homo appenninicus….
Le escursioni descritte nei libri di montagna sono passate, per così
dire, ai raggi X dall'homo appenninicus, che negli anni ha imparato a leggere
tra le righe, e a compiere sottili analisi lessicali.
E' noto infatti come gli autori di libri e guide escursionistiche siano
quasi sempre provetti alpinisti, a volte un po' troppo frettolosi nel minimizzare
quelli che possono rivelarsi seri problemi per l'homo appenninicus.
Istintivmente l'homo appenninicus ha sviluppato un occhio particolare per
certe espressioni che più o meno inconsciamente sfuggono dalla penna
di questi autori-alpinisti, e ha imparato a fiutare la possibilità
del pericolo dietro frasi apparentemente innocenti, quali "si risale
per magri pascoli", "si guadagna la vetta per facili roccette",
"si segue il filo di cresta" e simili.
Parecchi sono i vocaboli che suonano come campanelli di allarme per l'orecchio
appenninico, o addirittura risultano banditi dal suo vocabolario. Ad es.,
tra i sostantivi, troviamo "cengia" (e specialmente il vezzeggiativo
"cengetta"), "canale" (e derivati, con speciale attenzione
al diminutivo, "canalino", più insidioso rispetto a "canalone"),
"cornice", "paretina", "placca", "diedro",
"salto" (e anche "saltino"), "terrazzo" (anche
se erboso), "traverso" (ma non "traversata" e "attraversamento",
vocaboli da valutare volta per volta). Tra gli aggettivi degni di menzione
sono i diffusi "aereo" ed "esposto" (riferito a sentiero),
oltre che "dirupato", "strapiombante" e "vertiginoso".
Sicuramente allarmante è infine l'uso, da parte dell'autore, di numeri
ordinali (I, II, III, IV, etc).
Da valutare di caso in caso, invece, sono innanzi tutto quelle espressioni
che esprimono valutazioni personali dell'autore. Alcuni esempi ricorrono
assai spesso nei libri di montagna: "divertente arrampicata" (occorre
domandarsi sempre: ma divertente per chi? L'autore - non dimentichiamolo,
un alpinista - sta probabilmente pensando al suo divertimento), "non
ci sono difficoltà oggettive" ("oggettive"? vedi sopra)
e "elementare passaggio" (idem).
Altri vocaboli o frasi da considerare attentamente nel contesto più
generale dell'escursione sono ad esempio: "sfasciumi" (vocabolo
pur sempre migliore del più oscuro "detriti"), "gradoni
erbosi", "ripida salita", "si risale per cresta",
"franoso canalone", "sentiero panoramico" (verificando
che l'autore non usi "panoramico" come sinonimo di "aereo"
o "esposto"), e simili.
Una descrizione del tipo di roccia è sempre un segnale negativo per
l'homo appenninicus, il quale è solitamente disinteressato alla friabilità
o meno della roccia, alla presenza di appigli, o al suo colore (le rocce,
per lui, fanno solo parte del panorama). Così la frase "rocce
verdastre ben appigliate" suona come un invito all'homo appenninicus
a cambiare destinazione. (Si noti inoltre il "verdastre": statisticamente
qualcosa di "verdastro", "rossastro", o "nerastro"
è più insidioso di qualcosa che è, più semplicemente,
"verde", "rosso", o "nero").
Naturalmente è fondamentale la prova di consistenza: l'autore ha
già usato altrove quella stessa espressione per descrivere un passaggio
o una parte di gita che abbiamo già fatto? Si dimostra coerente nell'uso
delle parole, specialmente degli aggettivi, e nella valutazione delle difficoltà?
Ma le cose, naturalmente, non sempre sono così difficili.
Ecco infatti, e per concludere, un esempio di itinerario che all'homo
appenninicus non lascia dubbi sul da farsi:
"Dal punto più basso della placconata, poggiare a destra per
saltini e cengette e guadagnare la base del diedro. Salire i primi metri
sul fondo, superare lo strapiombo che lo chiude a sinistra (V) e con elegante
arrampicata, superata una corta fessura, raggiungere un piccolo tetto
nerastro, e quindi obliquando a destra su strapiombante cengetta (IV-)
la terrazza."
(si noti che non si parla neppure della vetta, il tutto serve a raggiungere
soltanto una terrazza).
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